Estinzione anticipata dei finanziamenti al consumo: Corte Costituzionale, Corte di Giustizia UE e possibili impatti di sistema*
*avv. Edoardo Bottino
Con la sentenza n. 263 del 22 dicembre 2022, la Corte Costituzionale ha deciso la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Torino sull’art. 11-octies del Decreto Sostegni Bis (DL n. 73 del 2021 convertito dalla legge 23 luglio 2021, n. 106) con cui è stato modificato l’art. 125 sexies TUB, per contrasto con gli artt. 3, 11 e 117 della Costituzione.
In particolare, la Corte Costituzionale ha dichiarato:
- l’illegittimità costituzionale della norma, nella parte in cui limita a talune tipologie di costi (i cosiddetti costi recurring e cioè tutti quei costi diversi dai tassi di interesse posti a carico del cliente e legati alla durata del contratto stipulato) il diritto alla riduzione spettante al consumatore in caso di restituzione anticipata del finanziamento contratto, escludendolo per altre tipologie di costi (i.e i cd. costi up front, sostenuti dal contraente per l’avvio delle pratica di apertura del finanziamento e perciò del tutto scollegati rispetto alla durata del finanziamento);
- l’applicabilità della disciplina di favore a tutti i contratti, sia antecedenti sia successivi al 25 luglio 2021 (data di entrata in vigore del nuovo art. 125 sexies TUB).
La Consulta ha ritenuto che l’operatività della norma, riguardante esclusivamente i contratti di credito concesso ai consumatori conclusi dopo l’entrata in vigore della disciplina attuativa della Direttiva 2008/48/CE (decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141) ma antecedentemente all’entrata in vigore della predetta legge n. 106 del 2021, violasse i vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea e, in particolare, l’art. 16, paragrafo 1, della predetta Direttiva, come interpretato dalla Corte di giustizia con la sentenza dell’11 settembre 2019, C-383/18, caso Lexitor, non avendo quest’ultima circoscritto temporalmente l’operatività dello stesso articolo alla luce dell’interpretazione fornitane.
La decisione della Corte Costituzionale riveste estrema importanza per le conseguenze economiche che è destinata ad avere per i soggetti finanziati e per i finanziatori.
Il contesto normativo e giurisprudenziale che ha fatto da contorno alla maturazione della sentenza in commento prende le mosse dall’art. 16, paragrafo 1 della direttiva 23 aprile n. 2008/48/CE, ai sensi del quale “il consumatore ha il diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”.
In attuazione della Direttiva, il decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 ha modificato l’art. 125-sexies, comma primo, TUB disponendo che “il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore” e specificando che “in tal caso il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto”.
Il disposto comunitario era quindi stato interpretato nel senso che il consumatore potesse ripetere i soli costi dipendenti dalla durata del contratto (i cosiddetti costi recurring) non maturati al momento del rimborso del capitale.
Tale interpretazione, avallata anche dalla Banca d’Italia, è stata successivamente superata da quella della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, a mezzo della sentenza cd. “Lexitor” del 2019, ha deciso che la misura della riduzione dovesse riguardare il costo totale del credito e cioè la sommatoria di tutti i costi posti (tanto up front quanto recurring) a carico del consumatore.
Il principio espresso dalla Corte di Giustizia è stato recepito dal legislatore italiano attraverso la modifica apportata all’art. 125 –sexies TUB dall’art. 11-octies, comma 1, lett. c) Decreto Sostegni Bis, limitandone però l’efficacia nel tempo ai soli contratti successivi all’entrata in vigore della legge (25 luglio 2021) e mantenendo al contempo fermo lo status quo ante – dunque la ripetibilità dei soli costi recurring non maturati – per i contratti stipulati anteriormente a tale data.
In merito all’applicazione del principio espresso dalla sentenza Lexitor ai soli contratti successivi al 25 luglio 2021, la Consulta osserva che il Legislatore è pervenuto a tale risultato mediante il richiamo nell’art. 11-octies alle norme secondarie della Banca d’Italia che avallavano l’interpretazione in base alla quale i costi soggetti a riduzione fossero i soli costi “recurring”.
A tal proposito la Corte Costituzionale ha osservato che all’interno di tali norme secondarie “si rinvengono, quali norme pertinenti rispetto all’art. 125-sexies, tali cioè da giustificare un loro richiamo nello specifico contesto, quelle che si occupano del profilo della riduzione del costo totale del credito in conseguenza del rimborso anticipato. Si tratta, dunque, da un lato, delle norme che esplicitano che il diritto alla riduzione si riferisce ai costi recurring (Sezione VII) e, da un altro lato, delle norme che si soffermano sull’esigenza che siano quantificati «in maniera chiara, dettagliata e inequivoca gli oneri che maturano nel corso del rapporto», precisandosi che debbano essere restituiti al consumatore, in caso di estinzione anticipata, solo quelli non maturati, il che costringe a fare riferimento alla mera ipotesi in cui il consumatore abbia corrisposto anticipatamente costi non maturati (Sezioni VII-bis e XI)”.
La Consulta ha poi proseguito rilevando che compete soltanto alla Corte di Giustizia stabilire una eventuale limitazione dell’efficacia temporale delle proprie sentenze, “eventualmente su sollecitazione del giudice che solleva il rinvio o degli Stati membri che ritengono di intervenire nel procedimento presentando osservazioni”.
In difetto di una limitazione temporale ad opera della sentenza Lexitor, la Consulta ha concluso che i relativi principi sono applicabili a tutti i contratti, senza alcuna distinzione tra rapporti antecedenti e successivi alla predetta pronuncia.
Allo scopo di fare corretta applicazione dei principi della sentenza Lexitor la Corte Costituzionale ha ritenuto sufficiente eliminare dall’art. 11-octies il richiamo alle norme secondarie di cui alle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia.
All’indomani della pubblicazione della predetta sentenza numerose sono state le reazioni registrate.
Ciò che in un primo momento ha maggiormente segnato l’andamento del dibattito è stata la questione della quantificazione, per il sistema delle banche e degli intermediari, dei costi conseguenti alla pronuncia (applicabile anche ai rapporti già estinti anticipatamente e non ancora prescritti) . La stima di cinque miliardi di euro proveniente da esponenti del mondo del credito (che terrebbe conto anche del diritto dei finanziatori all’indennizzo equo ed oggettivamente giustificato, previsto sia nella precedente formulazione dell’articolo 125-sexies del TUB sia nella nuova) non è infatti stata confermata dall’Avvocatura dello Stato, secondo cui dalle simulazioni di Banca d’Italia risulterebbero rischi di restituzioneper una somma compresa tra gli 850 milioni e il miliardo e 700 milioni, riguardante principalmente i contratti con cessione del V dello stipendio.
Il mondo giuridico ha inoltre rilevato come la Consulta avrebbe potuto nuovamente essere chiamata ad intervenire sullo stesso tema.
Il mantenimento in vita di parte delle norme transitorie applicabili ai portafogli di crediti sorti prima del 25 luglio 2021, concepite dal legislatore per confermare l’esclusione della rimborsabilità dei costi up-front, rischierebbe dunque di generare effetti non voluti e paradossali, dal momento che il previgente regime non si preoccupava di disciplinare né i criteri di rimborso dei costi fissi né, soprattutto, il rapporto tra il finanziatore e i soggetti terzi collocatori del credito.
Solamente in un passaggio della sentenza in esame la Consulta, precisando che la pronuncia di incostituzionalità è stata richiesta esclusivamente con riguardo al primo comma dell’art. 125-sexies, menziona fugacemente i nuovi commi secondo e terzo dell’art. 125- sexies TUB, per affermare che dette disposizioni, dettate per l’avvenire, “non trovano riscontro nel precedente testo e, dunque, risultano vigenti per il futuro, spettando, di conseguenza, agli interpreti il compito di risolvere, per il passato, i profili di disciplina in esse regolati”.
Tant’è che mentre relativamente al comma secondo, seppur assente nella formulazione previgente, appare ragionevole sostenere che il criterio da applicare alla restituzione dei costi up–front sia quello del costo ammortizzato in linea con gli orientamenti dell’ABF, con riguardo invece al comma terzo sembra prospettarsi una lacuna normativa, non essendo previsto alcun diritto di rivalsa del finanziatore verso l’addetto alla rete di vendita.
Con riguardo a tale comma parrebbe dunque che il chirurgico intervento della Corte Costituzionale potrebbe aver creato una disparità di trattamento tra passato e presente, trattando ingiustificatamente situazioni (divenute) uguali in maniera diversa, prospettandosi quindi materia per un nuovo intervento della Corte stessa.
Il quadro risulta ulteriormente complicato se si considera che con la sentenza del 9 febbraio 2023 (causa C-555/21, Unicredit Bank Austria) la CGUE ha affermato principi esattamente contrari a quelli richiamati dalla sentenza Lexitor e fatti propri da parte della Corte Costituzionale.
La CGE ha infatti rilevato che «L’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010, deve essere interpretato nel senso che: esso non osta a una normativa nazionale che prevede che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito, in caso di rimborso anticipato del medesimo, includa soltanto gli interessi e i costi dipendenti dalla durata del credito».
L’estensibilità tout court dei nuovi principi stabiliti dalla CGUE al credito ai consumatori non è possibile – a stretto rigore – in quanto le due pronunce hanno ad oggetto l’interpretazione di due differenti direttive.
Ciononostante è innegabile che, anche solo a riguardare meramente le fonti interpretate, l’odierno intervento “correttivo” non potrà non avere una certa influenza anche nel comparto del credito “mobiliare” ai consumatori, maggiormente “colpito” dagli effetti della “Lexitor”.
Ai posteri (o meglio all’esito delle future cause promosse da consumatori ed enti creditizi) l’ardua (e si spera definitiva) sentenza.