Sovrafinaziamento di mutuo fondiario: le sezioni unite escludono sia la nullità dei contratti sia la riqualificazione come mutui ordinari*

*avv. Monica Pereno e avv. Edoardo Bottino

Con la sentenza n. 33719 del 16 novembre 2022 le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno (forse) finalmente composto il contrasto giurisprudenziale insorto in merito alle possibili conseguenze del cd. sovrafinanziamento dei mutui fondiari, effettuato in violazione dell’art. 38 TUB.

E’ noto che l’istituto del mutuo fondiario di cui agli artt. 38 e ss. TUB ha una disciplina specifica che comporta per gli istituti di credito mutuanti taluni benefici, sostanziali e processuali.

Compete alla  Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, determinare “l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti”. Tale limite massimo finanziabile è stato fissato dalla Banca d’Italia con propria circolare n. 119 del 1995 nell’80% del valore dell’immobile, con possibilità di aumento al 100% del valore nel caso di rilascio di ulteriori garanzie.

Adducendo l’erogazione del finanziamento per importi superiori al limite massimo finanziabile, a partire dai primi anni del decennio appena concluso non pochi mutuatari hanno  citato in giudizio gli istituti di credito mutuanti chiedendo all’Autorità Giudiziaria di dichiarare la nullità dei mutui, con conseguente restituzione della  sola somma capitale erogata e disapplicazione dei benefici processuali previsti dalla normativa.

Con la prima sentenza resa sul punto (n. 26672/2013), la Corte di Cassazione si era espressa nel senso  della validità dei contratti di mutuo fondiario “sovrafinanziati”, escludendo tanto la nullità di cui all’art. 117, comma ottavo, TUB,  quanto la nullità di cui all’art. 1418 cod. civ.

Secondo questo primo orientamento, il rispetto del limite di cui all’art. 38 TUB non rappresenterebbe un precetto inderogabile per la validità del contratto stesso, quanto piuttosto una errata valutazione estimativa compiuta dagli istituti di credito degli immobili loro concessi a garanzia, valutazione peraltro “soggette a margini di incertezza valutativa”; che non fosse previsto a livello legislativo che nei relativi contratti di mutuo fondiario fossero riportati né il valore dell’immobile né il costo delle opere e ciò a riprova del fatto che il predetto limite di finanziabilità non costituisse una clausola “determinativa del contenuto del contratto”.

Da ultimo, facendo applicazione del principio di sistematicità dell’ordinamento, era stato altresì escluso che dal “sovrafinanziamento” potesse essere fatta discendere “la conseguenza della nullità del mutuo ormai erogato ed il venir meno della connessa garanzia ipotecaria” in quanto ciò avrebbe condotto “al paradossale risultato di pregiudicare ancor più proprio quel valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere”.

In conclusione la Suprema Corte aveva statuito che l’accertamento della violazione del limite di finanziabilità avrebbe al più potuto comportare per gli Istituti di credito inadempienti la comminazione di sanzioni da parte della Banca d’Italia.

Dopo non poche sentenze conformi, con la sentenza n. 17352/2017 la stessa Corte è poi ritornata sui propri passi sancendo la nullità dei contratti di mutuo sovrafinanziati ai sensi dell’art. 1418 cod. civ., in ragione della ritenuta imperatività dell’art. 38 TUB e della considerazione che  il limite di finanziabilità  richiamato da tale norma integrerebbe un elemento essenziale del contratto, oltre che un limite inderogabile all’autonomia privata delle parti stante la natura pubblica dell’interesse tutelato (i.e. la regolarità quantitativa della prestazione creditizia)..

Dei contratti nulli la Corte ammetteva peraltro, su istanza in una delle parti, la conversione ex art. 1424 cod. civ., ove le parti non fossero coscienti della nullità dell’atto compiuto e una volta accertato che entrambe avrebbero voluto ottenere gli effetti del contratto diverso se avessero conosciuto la nullità di quello stipulato.

L’orientamento appena esposto è stato seguito pressoché ininterrottamente almeno fino all’anno 2019, quando si è fatta strada una posizione mediana tra le due precedenti, sposata dalla successiva giurisprudenza di merito.

In particolare, con la sentenza n. 17439/2019, la Suprema Corte aderiva alla tesi dell’imperatività dell’art. 38 comma 2 TUB, senza però giungere ad affermare che la sua violazione comportasse la nullità dell’intero contratto.

In particolare la Cassazione sosteneva che tra mutuo fondiario e ipotecario non vi fosse diversità dei tipi negoziali coinvolti, bensì un rapporto di species a genus stante la preponderanza di elementi in comune e la presenza, nel primo, soltanto di elementi accidentali caratterizzanti.

In considerazione di ciò gli Ermellini proponevano allora di risolvere la questione per mezzo della riqualificazione giuridica del contratto con conseguente disapplicazione della disciplina di favore prevista per gli Istituti di credito e conservazione del contratto di mutuo ipotecario e della garanzia ipotecaria.

Rimessa la questione alle Sezioni Unite,  con la sentenza n. 33719 del 16 novembre 2022 è stato deciso che il mutuo sovrafinanziato non è nullo, non essendo violata alcuna norma imperativa, e che lo stesso non può essere automaticamente riqualificato come mutuo ordinario.

A sostegno della prima delle conclusioni raggiunte le Sezioni Unite hanno evidenziato che:

  1. tanto l’art. 38 TUB quanto la relativa norma attuativa della deliberazione della Banca d’Italia non contengono alcuna indicazione né rispetto ai criteri di stima del valore dell’immobile cui è rapportato in via percentuale l’ammontare massimo del finanziamento né rispetto all’epoca di riferimento della stima, con la conseguenza che ragionando al contrario si correrebbe il rischio di “minare la sicurezza dei traffici e di esporre il contratto in corso a intollerabili incertezze derivanti da eventi successivi”;
  2. l’indicazione nel contratto di mutuo fondiario del valore del bene non costituisce un requisito di forma ad substantiam del contratto stesso non essendo ciò previsto dal TUB;
  3. la prescrizione di cui all’art.38 TUB impone esclusivamente la specificazione di un elemento intrinseco già presente nel contratto e cioè che il suo oggetto possegga una determinata caratteristica quantitativa, con conseguente esclusione della configurabilità di una nullità per un vizio incidente su elemento essenziale della fattispecie negoziale, relativo a struttura o contenuto;
  4. neppure un’indagine sulla ratio del predetto art. 38 TUB e dell’interesse dallo stesso tutelato potrebbe sostenere la tesi della nullità, in quanto la norma violata non è rivolta alla tutela di un preminente interesse pubblico ma “mira” solamente “a preservare la stabilità patrimoniale degli istituti di credito e impedire il verificarsi di situazioni di squilibrio tra garanzie acquisite e concessione di credito” con la conseguenza che la sanzione della nullità del mutuo fondiario sovrafinanziato da un lato “condurrebbe al paradossale risultato di pregiudicare, ancor più, proprio quel valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere”, eliminando la garanzia reale e degradando il credito a chirografario a titolo di ripetizione di indebito e dall’altro concederebbe al mutuatario “un vantaggio obiettivamente sproporzionato” in quanto “per il solo fatto di aver ricevuto dall’istituto una somma superiore a quella consentita dal cd. scarto di garanzia, realizzerebbe la completa liberazione dell’immobile dall’ipotetica” ma allo stesso tempo costringerebbe quest’ultimo “a restituire immediatamente le somme prese in prestito, con tutte le conseguenze sul proprio patrimonio ed eventualmente sull’attività di impresa”, esponendolo a rischi di segnalazione alla centrale rischi nonostante il regolare pagamento delle rate secondo il piano di ammortamento previsto nel contratto poi ritenuto nullo.

A sostegno invece della seconda delle conclusioni raggiunte, le Sezioni Unite hanno escluso che nel caso di specie il giudice non sia vincolato al nomen iuris utilizzato dai contraenti e che quindi possa emendare la relativa qualificazione del contratto, non essendo possibile ammettere “assoluta incompetenza dei contraenti, cioè l’assoluta irrilevanza delle loro determinazioni rispetto alla qualificazione del contratto”. Secondo la Corte, se è vero che la qualificazione del contratto a opera del giudice trova il suo presupposto nell’accertamento della comune intenzione delle parti, tale qualificazione “non è invece consentita per correggere o integrare il regolamento di interessi volutamente e validamente assunto dai contraenti secondo un determinato tipo o sottotipo negoziale, per adeguarlo d’autorità a un diverso tipo o sottotipo legale non corrispondente alla loro volontà comune”, non rilevando nemmeno che uno dei contraenti contesti gli effetti sul piano dell’invalidità del contratto, perché anzi “contestare la validità di un negozio per contrasto con le norme che lo disciplinano non significa contestare, ma riconoscere la qualificazione secondo il tipo o sottotipo di riferimento”.

In altri termini, l’eccezione del mutuatario rispetto al fatto che il mutuo fondiario sia stato stipulato in violazione del secondo comma dell’art. 38 TUB conferma che la volontà delle parti fosse proprio quella di stipulare un mutuo fondiario e ne impedisce la riqualificazione d’ufficio in mutuo ordinario.

In conclusione, secondo l’arresto delle Sezioni Unite il mutuo fondiario sovrafinanziato in violazione del secondo comma dell’art. 38 TUB non comporta alcun profilo di nullità, prevedendo la norma violata solo un comportamento di natura prudenziale a esclusivo interesse degli stessi istituti di credito.

Da ciò discende: che la violazione del precetto da parte del singolo istituto di credito non abbia alcuna incidenza sul sinallagma contrattuale, ma rilevi esclusivamente per l’eventuale comminatoria delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario a seguito dei controlli da parte della Banca d’Italia; e che il giudice di merito non sia tenuto a compiere alcuna indagine in merito al valore dell’immobile e alla sussistenza dei requisiti per la conversione.

Alla luce di quanto osservato non può non dirsi che il contrasto sorto con riguardo all’oggetto del presente contributo non sia stato risolto.

E’ lecito però chiedersi se l’esclusione dell’invalidità contrattuale – pur se in diritto fondata sulle solide argomentazioni sopra ripercorse- possa comportare che alcuni istituti di credito, al fine di aumentare il volume delle somme mutuate per il raggiungimento dei propri obiettivi di crescita, si rendano più disponibili a prestare una minore attenzione alla valutazione degli immobili offerti in garanzia , il che non resterebbe privo di impatti sul settore immobiliare e sulla qualità del credito erogato.

Ne consegue che, proprio a fronte delle statuizioni appena esposte della Suprema Corte, la Banca d’Italia sarà chiamata a svolgere con ancora maggiore attenzione il proprio ruolo di ente di sorveglianza del settore.